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Il 1793 e il 1798: gli anni delle invasioni

Il 1793 e il 1798: gli anni delle invasioni

I primi sessant’anni della storia di Carloforte furono segnati da grandi sacrifici e da due invasioni: quella francese e quella tunisina, che sconvolsero la vita della popolazione. L’invasione dell’8 gennaio del 1793 non fu segnata, tuttavia, dal ferro e dal fuoco: i francesi, in seguito alla rottura dei rapporti diplomatici tra Francia e Piemonte, invasero la Sardegna, e quindi anche l’isola di San Pietro, ribattezzata “Isola della libertà”.
I carlofortini, per timore che la statua che rappresentava il re Carlo Emanuele III di Savoia causasse guai alla comunità, decisero di scavare una fossa per nasconderla. Si racconta che, per quanto la fossa fosse profonda, ne spuntasse dalla terra il braccio destro e che, nella fretta, uno dei presenti le diede un colpo di mazzetta amputandola per sempre. I francesi si trovarono, così, davanti a una popolazione pacifica, persino accogliente, che non ostacolò in nessun modo il loro ingresso. Durante l’esperienza repubblicana, soggiornò a San Pietro il rivoluzionario Filippo Buonarroti, che dettò alla popolazione il Codice della Natura, ispirato alle nuove idee rivoluzionarie. L’episodio repubblicano durò, però, pochi mesi: il 26 maggio i francesi si arresero al comandante don Francisco Borja, e il 20 luglio la statua del re poté ritornare sul proprio piedistallo, da dove, ancora oggi, osserva attenta quanti transitano sull’isola. L’invasione ordita dal bey di Tunisi nel 1798, e precisamente la notte tra il 2 e il 3 settembre, risultò invece molto più cruenta di quella francese. Carloforte fu saccheggiata e circa ottocento schiavi, di cui la metà donne e centocinquanta bambini, furono portati in Tunisia.
Per un crudele scherzo del destino, i carlofortini dovettero rivedere la terra dalla quale erano partiti,
la Tunisia, ma questa volta da schiavi. Cinque furono gli anni di schiavitù che subirono i catturati, durante i quali furono confortati da un episodio che concorse a far rimanere sempre accesa in loro la fiamma della speranza: il ritrovamento miracoloso della statua poi chiamata Madonnina dello Schiavo.
Il nuovo secolo si aprì per Carloforte con numerose novità: nel 1808, il re Vittorio Emanuele I le accordò il titolo e i privilegi di Città; nel 1811, fu istituita la Regia Dogana; e, intorno al 1850, le
società minerarie Malfidano, Vieille Montagne, Gennamari-Ingurtosu e Pertusola diedero inizio allo sfruttamento dei ricchi giacimenti di minerale del Sulcis, decretando, per l’isola, l’inizio di un periodo d’oro. Mancando qualsiasi forma di comunicazione via terra tra i principali siti minerari e i centri di lavorazione delle materie prime, Carloforte divenne il punto d’appoggio e il porto
d’imbarco del minerale estratto. Dall’isola madre il minerale veniva caricato sui battelli carolini dai
“galanzieri”, che partivano nel cuore della notte dalle loro case per raggiungere i porti in cui dovevano
caricare la “galanza” (così chiamato, nel dialetto ligure che si parla ancora oggi a Carloforte, il minerale galena). Questo permetteva loro di effettuare più viaggi in un giorno e, visto che venivano pagati a tonnellata, di ottenere un guadagno maggiore. Il minerale, depositato nei magazzini di Carloforte, giaceva
in attesa di essere reimbarcato su grandi navi, che si trovavano alla rada del porto. Le foto dell’epoca mostrano, infatti, un porto brulicante di battelli, dove si intravvedono i grandi vascelli fermi alla rada. In questo contesto si colloca la figura del piemontese Giuseppe Cavallera, definito dallo scrittore Giuseppe Dessì, nel suo Paese d’ombre (1972), come “il pioniere del socialismo in Sardegna”, sotto la cui guida, nel 1897, i lavoratori del mare carlofortini costituirono la Lega dei Battellieri.
Data la mole dei traffici che si svolgeva nel porto carolino, tra il 1861 e il 1870 aumentarono i marinai.
Alcuni provenivano dalla vicina costa sarda, da cui si erano allontanati con l’intenzione di abbandonare le attività agro-pastorali; altri arrivavano dai porti campani di Ponza, Ischia, Procida e Torre del Greco ed ebbero il merito di far riprendere, sull’isola di San Pietro, la pesca del corallo, parzialmente abbandonata dalla comunità locale. Ebbe così inizio un periodo particolarmente florido, che fece di Carloforte, agli inizi del Novecento, il secondo porto della Sardegna per numero di navi e per tonnellaggio di merci trasportate.

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