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La statua di Carlo Emanuele III

La statua di Carlo Emanuele III

Raccontare la storia di questa statua è come raccontare la storia dell’isola di San Pietro: basti ricordare che venne pagata dai cittadini, che si autotassarono per rendere omaggio a Carlo Emanuele III, l’unico ad essersi interessato alla liberazione dei tabarchini deportati come schiavi in Tunisia. Oltre che testimone delle continue scorribande di cui l’isola fu teatro, la statua fu coinvolta nei moti rivoluzionari francesi del 1793. In quell’occasione, i carlofortini la misero al sicuro dalla furia iconoclasta degli invasori, che certo non avrebbero risparmiato una così evidente manifestazione del potere regale. L’isola, in quel periodo, fu ribattezzata “Isola della Libertà” e, al posto della statua, fu piantato l’albero della libertà; lo spostamento dell’imponente mole del monumento provocò il distaccamento e la perdita di un braccio, che non sarebbe stato più ripristinato.
L’occupazione francese durò solo pochi mesi: il 25 maggio 1793 la flotta spagnola, al comando di Francesco
Borja De Camachos, portò alla resa, con l’onore delle armi, dei rivoluzionari e la statua poté tornare al proprio posto, seppure priva del braccio. Il monumento era stato commissionato, nel gennaio del
1779, a uno scultore genovese, Bernardo Mantero, ed era stato inaugurato il 20 luglio 1786.
All’inaugurazione erano seguiti tre giorni di festa, a cui aveva partecipato tutta la popolazione. Accanto alla rappresentazione del sovrano appaiono, oggi, le statue di uno schiavo tunisino e di una schiava cristiana, con in braccio un bambino (segno della La statua di Carlo Emanuele III continuità tabarchina sull’isola di San Pietro), commissionate, in un secondo momento, da don Alberto Genoves, figlio del duca don Bernardino. Nel complesso, il monumento risulta di non grande valore artistico, soprattutto per quanto riguarda le due statue poste sul basamento.
Anche la statua di Carlo Emanuele III risulta essere piuttosto rigida nella commistione dello stile romano, cui si ispira la corazza, e di quello barocco, cui si deve la folta capigliatura, che rimanda all’iconografia del Re Sole. La statua del re è chiamata affettuosamente Pittanéddu.

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