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L’Associazione Ciao, formata da commercianti, imprenditori, artigiani e operatori di Carloforte, in
collaborazione con il Consorzio Arcobaleno – Centro Commerciale Naturale e con le amministrazioni
Comunale, Provinciale e Regionale, ogni anno, nel mese di aprile, organizza la sagra che celebra
il cuscus tabarchino. O, come si dice a Carloforte, u cascà: il piatto a base di semola cotta al vapore e armonizzata con verdure e spezie, portato dalla Tunisia dai primi coloni arrivati sull’isola di San Pietro.
Nata nel 2000, la festa ha come protagonista il piatto più tipico e antico del patrimonio culturale e gastronomico di Carloforte, attorno al quale ruotano numerosi eventi collaterali.
Oltre alla giornata dedicata alla dimostrazione e realizzazione del cuscus, la manifestazione prevede esibizioni musicali e folkloristiche, mostre dedicate alle arti e ai mestieri della vita isolana, sfilate, raduni di auto ed escursioni.

Il cascà, a Carloforte, non è una semplice pietanza. È assolutamente incontrovertibile. Nessun piatto più de u cascà sa rappresentare, in maniera così puntuale ed esaustiva, l’intima essenza di una tradizione gastronomica realmente interculturale, trasformarsi in un vero e proprio documento storico, rispettare – nello spirito di un panteismo naturalistico – lo scorrere delle stagioni, farsi latore dell’orgoglio, l’identità, il senso di appartenenza a una comunità. Perché il cascà, a Carloforte, non è una semplice pietanza, ma è una testimonianza sociale, un’immagine dall’enorme potere evocativo, il simbolo autentico dello stare insieme, un ponte tra passato e presente, una vecchia carta nautica in cui sono tratteggiate, per l’eternità, le rotte del gusto di un popolo fiero, benevolo ed alacre. Vaghiamo rapiti tra le câsinee (le calcinate), i carruggi carlofortini, in un dedalo in cui si susseguono armonicamente archi, scalinate,piazzette, vecchie abitazioni dalle facciate multicolori e dai balconi fioriti. Passeggiamo lungo i vicoli che si inerpicano fino in cima alle mura di cinta. Alle nostre spalle, il vento trasporta con dolcezza effluvi iodati e salmastri, che annunciano la vicinanza al mare. Poi un profumo. Intenso e seducente.
Una cuscussiera (un recipiente in terracotta simile a un colapasta), impilata su una pignatta, diffonde nell’aria irresistibili sinfonie vegetali. Già, perché a Carloforte il cascà, differenziandosi dai cugini tunisini e siciliani, è solo a base di verdure. Verdure di stagione, si intende.

Arundiò a sémmua
L’ingrediente principale, la semola di grano duro, viene lavorata a mano, con grande cura. I palmi
sollevati, le dita equidistanti, la pressione dei polpastrelli, i movimenti circolari e l’intero corredo di gesti e rituali che la preparazione del piatto impone, fanno comprendere come la scienza gastronomica sia, de facto, un tutt’uno con l’antropologia, la filosofia e la religione.
Un pizzico di sale e i granelli, macinati grossolanamente, vengono inumiditi con un quantitativo
minimo di acqua e lavorati lentamente, in senso antiorario, in modo che possano assorbire il liquido senza creare grumi indesiderati. Arundiò a sémmua. Il verbo è onomatopeico, le dita sgranano il cereale e la semola, finalmente “arrotondata” e condita con un filo d’olio, può esser versata nella cuscussiera incastonata nella pignatta, amorevolmente incollata ad essa con un sigillo di acqua e farina e, dunque, cotta al vapore per circa tre ore.
Il tempo trascorre inesorabilmente e in cucina non si sta mai fermi. Mani sapienti preparano le verdure per il condimento. In tegame e con cotture separate. Il cascà si basa sul rigoroso rispetto delle stagioni e sulla generosità della terra e, pertanto, in estate sarà arricchito con piselli, favette fresche, carote, zucchine e melanzane fritte. Durante l’inverno, invece, la semola abbraccerà cavolfiori, cavoli cappucci, cipolle, carciofi e ceci che – come chiosa Marta, una signora di mezza età che gesticola energicamente proclamandosi paladina della tradizione più ortodossa – “devono essere tenuti in ammollo per una notte intera e, al mattino, lessati
con un paio di spicchi d’aglio”.
Ad accomunare le due versioni e a sottolineare la multietnicità del piatto è una spolverata di spéssia canélla, altrimenti detta “saporita”, ovvero un ricco e orientaleggiante mix di spezie (coriandolo, cannella, cumino dei prati, chiodi di garofano, noce moscata ed anice stellato), che rende il boccone ancor più appetitoso.

Il piatto dei piatti
Il cascà, il piatto della famiglia, il piatto della festa che è diventato il piatto di tutti i giorni, il piatto dei piatti. A Carloforte non vi è massaia che si rispetti che non lo sappia cucinare. E, naturalmente, ognuna di esse custodisce con gelosia un trucco o un segreto ed è legittimamente convinta di interpretare la ricetta nel migliore dei modi.
C’è chi utilizza subito la saporita facendola cuocere assieme alla semola, per ottenere un sapore più deciso e chi – per rispettare i palati più delicati – preferisce aggiungerla a cottura ultimata, prima di unire le verdure. C’è chi fa ricorso a una malandrina spolverata di qualche fogliolina di maggiorana; chi, diversamente, privilegiando “sensazioni” dolciastre, eccede sulla quantità di piselli; chi insaporisce con del finocchietto; chi ammorbidisce la frazione solida con mestolate di brodo vegetale. Sull’utilizzo della carne di maiale (cotica e ciccioli), poi, le scuole di pensiero divergono senza mezze misure: direttamente nella semola; nell’acqua della pignatta per insaporire il vapore; tagliato a cubetti e fatto rosolare nel tegame con i ceci; mai, perché a Carloforte u cascà u se cundisce sulu cue verdüe.
Per quanto, con il trascorrere del tempo, gli ingredienti, le tecniche e i procedimenti siano stati codificati, le variabili fanno sì che ogni cascà sia diverso dall’altro, ogni cascà sia più gustoso dell’altro. In questo piatto, di chiare origini berbere, c’è tutta la storia dell’isola e delle sue affascinanti contaminazioni, c’è un genuino condensato di una comunità tanto originale quanto coesa, ma ci sono anche vissuti ed emozioni personali che rendono ogni piatto unico, irriproducibile, vivo. I consigli della nonna, la qualità della semola, lo spicchio d’aglio schiacciato “all’antica”, con il palmo della mano, la ricchezza dell’orto… La discussione, che nel frattempo ha fatto registrare un’ampia e democratica partecipazione popolare, esonda e rischia di diventare infinita. “Il segreto” sentenzia Agostino, un vecchio tonnarotto con la voce arrochita da anni di maestrale, “sta nella mano che gira”. E pare mettere tutti d’accordo.

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